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Grano Triminì

Triticum turgidum L.

famiglia: Poaceae

Nell’ottobre 1981 , durante un corso da lui tenuto sul greco di Calabria a Bova Marina,il raffinatissimo ellenofono, Bruno Casile, defunto nel 1996, poeta-contadino di Cavalli di Bova, rappresentante della minoranza linguistica grecanica in alcuni congressi internazionali, lanciò un appello disperato, oltre che per la salvezza della nobilissima lingua degli antenati, anche a favore del germoplasma calabrese.

Relazionò in modo efficace sulle varietà dei grani perduti per colpa della politica dissennata della CEE che nello spazio di appena un decennio era stata capace di distruggere le varietà antiche di millenni che avevano superato centinaia tra guerre ed invasioni, ma non avevano evitato le insidie dell’Europa comunitaria.

Infatti bastò la decisione di pagare i premi di produzione solo per i coltivatori che avessero seminato la varietà Creso o Patrizio, che in pochissimi anni il prodotto di selezione varietale di millenni, fu vanificato.

Scomparvero il Granoro, il Ciciaruni, lo Squadremo, la Maiorca Tignusa, la Maiorca Campanella ecc. e tutto fu ridotto a quelle varietà imposte dalle regole comunitarie. Ricordò a questo punto il rischio che correva la Mavrafacì (lenticchia nera che in effetti è una veccia) ed il grano strategico delle annate piovose: Il Triminì che in greco di Calabria significava Tre Mesi.

Infatti nelle annate quando pioveva per tutto l’autunno si ricorreva al Triminì, che a differenza delle altre varietà di grani che si seminavano ai primi di novembre, si seminava ai primi di marzo ed in tre mesi cresceva e arrivava a maturazione prima degli altri e veniva mietuto alle fine di maggio.

Esso era un grano duro e con la sua farina si produceva il pane, ma anche i migliori maccheroni, perché “tenevano” ossia non si spezzavano come avveniva con quelli confezionati con la farina di “Maiorca” che era un grano tenero.

Fu avviata un’indagine, ma fu tutto inutile perché il Triminì ormai era stato perso per sempre.

Si ricorda che un grano analogo, se non identico è coltivato in Sicilia, il Tuminia, che significa mesi (minia) e quello di tre (tu), che con i suoi prodotti di pregio (pane, biscotti, dolci, ecc.) ha conquistato tutta l’Italia del centro-nord; esso è un grano primaverile che cresce e matura in tre mesi.

Nell’autunno del 2014 il Movimento 5 Stelle organizzò a Cosenza un convegno sulla biodiversità a cui furono invitati fra l’altro Antonello Canonico di San Marco Argentano, la dott.ssa Samanta Zelasco ricercatrice del Crea di Cosenza e lo scrivente che cominciò a relazionare sugli OGM (organismi geneticamente modificati) voluti dalle multinazionali dei semi, tra cui le americane Monsanto e Dupont e la svizzera Syngenta. Passò a parlare dei semi perduti per sempre in Calabria, poi della necessità di salvare le antiche cultivar di peri, meli, viti ecc. e ad un certo punto si soffermò sul Triminì, il grano strategico delle annate piovose, perso per sempre.

Gli replicò immediatamente Antonello, rincuorandolo ed informandolo che esso era stato salvato nel suo paese, San Marco Argentano, dove viene chiamato Marzuolo, grazie al fatto che solo con la sua farina vengono preparati da sempre particolari ciambelle, pane biscottato, dolci particolari, pasta ecc.; nessuna altra varietà di grano può assolvere le stesse funzioni importantissime per le tradizioni di San Marco. Esso viene seminato ai primi di marzo e alla fine di maggio è pronto per essere mietuto, come avveniva per il Triminì, con cui s’identifica il Marzuolo.

È scattata la solidarietà ed immediatamente Antonello ha provveduto a portare in dono a Nino Sigilli e Dino Audino di Siderno, a Raffaele Scali di Gioiosa Marina e allo scrivente 50 chili di Marzuolo che ai primi di marzo sarà seminato a Siderno, assieme a circa trenta varietà di fagioli, due varietà di ceci, numerosi ortaggi, rigorosamente calabresi.

Domenica prossima a Soverato Superiore, nell’agriturismo di Gianni Pittelli, la Valle dei Mandorli, la ricercatrice del Crea di Cosenza dott.ssa Samanta Zelasco, metterà in relazione i suddetti con un imprenditore-ricercatore del Nord Italia che cercherà di valorizzare tutto quello che di biodiverso sarà prodotto in alcuni campi di Siderno, Gioiosa, Monasterace e Stilo dove saranno coltivati le varietà di ortaggi, legumi, ecc., in estinzione.

Solamente con gli scambi tra coloro che amano la propria terra, e facendo rete tra loro, sarà possibile scongiurare i progetti diabolici delle multinazionali dei semi che stanno diventando sempre più pericolose con lo loro strategia di federare le loro forze, vedi il caso della Bayer, leader a livello planetario nella produzione di pesticidi, diserbanti, anticrittogamici ecc. che di recente ha comprato la Monsanto, americana, a sua volta la più potente nel settore dei semi.

L’esempio di scambiare i semi è divenuta una pratica ormai anche istituzionalizzata, tanto che in questi giorni a Torino si è tenuta una manifestazione apposita, dove gli utilizzatori dei semi antichi, di tutt’Italia si sono incontrati e scambiati i semi.

Queste pratiche semplicissime, attuate in modo ampio e generalizzato, sarebbero capaci di delimitare l’arroganza delle multinazionali dei semi, guidati dagli Stati Uniti, che hanno tentato di far approvare ai paesi dell’Europa comunitaria i TTIP, Transatlantic Trade And Investment Partnership, trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti secondo cui l’Europa avrebbe potuto mandare negli Stati Uniti una certa quantità di propri prodotti indifferenziati per qualità per cui non ci sarebbero stati più i marchi Dop, Doc ecc., mentre a loro volta gli americani avrebbero riversato in Europa il doppio (per contratto) delle loro merci, compresi gli OGM transgenici e di conseguenza una marea di cibo spazzatura avrebbe invaso le mense degli europei. Ci fu una forte resistenza specie da parte di stati detentori di marchi di qualità, italiani, francesi, tedeschi ecc. (ad esempio il San Daniele, il Parmigiano reggiano, ecc.) ed il trattato non fu ratificato specie per la resistenza dei giovani. Di recente invece, un trattato analogo, il CETA è stato siglato tra la Comunità Economica Europea ed i Canada, dove però, nelle grandi società produttrici di beni alimentari canadesi sono presenti gli investimenti americani e c’è il rischio che ciò che non è entrato dalla porta possa in prospettiva entrare attraverso la finestra.