FACE Festival

Greco di Bianco

Vitis Vinifera L.

famiglia Vitacee

La vite indicata nella fotografia rappresenta il clone classico del greco di Bianco ormai quasi estinto in quanto sopravvive in due o tre esemplari presenti solo nella vigna del defunto Francesco Mezzatesta e di suo fratello Bruno in contrada Lacco del Muro a Bianco a ridosso dell’abitato; lo stesso clone era presente anche nella vigna D’Aguì a Pardesca.

Lo scrivente ha tentato senza successo svariate volte di salvare la vite dall’estinzione, ma per motivi vari ciò non è avvenuto, l’ultima volta per scambio di posizione nella vigna; i suoi grappoli hanno gli acini più tondeggianti rispetto a quelli dei cloni più usati e a maturazione essi diventano dorati. Evidentemente per la scomparsa ha giocato a suo sfavore la scarsa consistenza del grappolo, costituito da meno di quaranta acini, sostituito nel tempo da cloni molto grandi usati ora nei vigneti di Bianco.

Esso però offriva un vino sublime non più riscontrabile, specie se le sue uve venivano essiccate con un’esposizione al sole meno lunga di quanto stia avvenendo adesso, in parte riconducibile all’uso indicato da Esiodo, scrittore greco dell’VIII secolo a.C. nella sua opera “I Lavori e i giorni”: “Quando Orione e Sirio giungono a mezzo del cielo (20 settembre) e l’Aurora dalle rosee dita vede Arturo, allora, o Perse, spicca e porta a casa tutti i grappoli: li terrai al sole (all’aperto) per dieci giorni e per dieci notti, per cinque invece all’ombra; al sesto, poi, porrai nei tuoi vasi i doni di Dionisio che danno tanta gioia”.

Si sa che la qualità di un vino deriva anche dalla scarsa consistenza dei grappoli e per giunta spargoli di una varietà e di conseguenza più grandi essi sono, peggiore risulterà il vino da essi ricavati.

Infatti, il principe dei passiti in Italia, è considerato il Picolit del Friuli che viene prodotto con grappoli molto piccoli; talvolta ogni grappolo è composto da 10-15 acini, sottoposti però ad una procedura particolare in quanto essi prima della premitura vengono fatti ammuffire; essi infatti producono la “muffa nobile” o “botrytis cinerea” che migliora il vino.

L’antico clone poco produttivo con il passare del tempo è stato sostituito con altri molto più grandi e di conseguenza più redditizi, sottoposti ad una procedura di essicazione più rapida che prevede l’esposizione dei grappoli per otto giorni al sole e coperti durante la notte da teli di plastica; tale pratica danneggia molto i profumi, di cui restano pochi.

Anche a Bianco e nei paesi limitrofi, dove si produceva passito in piccole quantità per uso familiare ed addirittura medicinale, in quanto veniva usato per curare la bronchite e la polmonite, l’appassimento avveniva per due tre giorni al sole e poi rigorosamente nei bassi, arieggiati, però, dove ci fosse “frussu e rifrussu” e i grappoli venivano posti su cannicciate o meglio ancora su “prazzine” (cannicciate) costituite da steli di ginestra. La procedura durava più di quindici giorni, ma la qualità era di gran lunga superiore di quello che offrono oggigiorno i prodotti offerti, meno ricchi di preziosi effluvi.

Qualcuno dei cloni usati offre dei grappoli debolmente aromatici che vinificati normalmente danno esiti molto interessanti, un altro poi risulterebbe riconducibile alla malvasia delle Lipari, ma pare che non ci sia stato un riscontro scientifico, mentre tutti quanti, in modo non uniforme sono vinificati secondo procedure non omogenee, per cui ogni azienda esibisce un prodotto diverso da un’altra.

Nel campo di conservazione dello scrivente è presente un clone del Greco di Bianco, prelevato nella vigna della famiglia Baccellieri, sottoposto ad analisi del DNA dal Centro Sperimentale di Turi, per interesse del dott. Angelo Caputo che, il giorno 1 giugno è ritornato per il secondo anno consecutivo a fotografare i germogli apicali delle 69 viti dal profilo molecolare unico al mondo.

La signora Maria Baccellieri ha voluto conoscere il dott. Angelo Caputo da cui è stata gratificata in quanto ha potuto sapere che il clone o forse genotipo di greco che abbellisce le sue vigne non è riconducibile alla Malvasia di Lipari e di questo può andare fiera in quanto esso difende l’assoluta identità colturale oltre che culturale di Bianco; tale notizia dà rilievo al fatto che quasi sicuramente la diceria che il greco di Bianco sia identico alla malvasia di Lipari, è destituita di fondamento.

A questo punto è assolutamente necessario ritrovare, nella vigna dei fratelli Mezzatesta il clone classico del greco di Bianco, di modo che possa essere prima messo in sicurezza, contemporaneamente testato e poi in prospettiva riproposto alla coltivazione, ricordando ancora una volta ai viticoltori che la qualità non deriva mai dalla quantità.