Piru Campanellu
Pirus communis L.
Nelle comunità agricole le pere rappresentavano una risorsa notevolissima sia per gli uomini che per gli animali, fino agli inizi degli anni 50 del 900, quando la civiltà contadina collassò improvvisamente e con una velocità incredibile, morendo prima di trasformarsi in altro.
Infatti si passò dall’aratro di legno come strumento principale nella lavorazione dei campi o la zappa, dall’asino come mezzo di trasporto, all’abbandono totale dei campi nello spazio di pochi anni.
Era capitato che alla fine della seconda guerra mondiale, le classi lavoratrici, compresse ed affamate durante il periodo del fascismo, quando non avevano avuto la possibilità di recarsi all’estero, si videro spalancare le porte dell’emigrazione e letteralmente andarono via con il proposito di non fare più ritorno.
In 23 anni di regime i rapporti con le comunità calabresi degli gli Stati Uniti e l’Argentina, le terre d’emigrazione già dall’ultimo quarto di secolo dell’800, si erano un po’ allentate, ma per incanto ripresero a rivivere nell’immediato dopoguerra e subito partirono i primi nuclei, come avanguardie, verso gli Stati Uniti e l’Argentina, dove riannodarono i rapporti, altri invece scoprirono nuove prospettive in Australia e Canada ; e ci fu un’emorragia incontenibile.
Nei piccoli paesi restarono solo i vecchi e pochi giovani, figli di impiegati statali o di commercianti o di qualche famiglia che si riteneva benestante; strazianti erano gli addii delle famiglie che andando via lasciavano i vecchi genitori.
Nei ricordi dello scrivente c’è l’immagine di una madre molto anziana, Vittoria D’Andrea, che vedendo partire la figlia e le nipotine su un cassone di camion, che l’avrebbe portate ad un treno con cui avrebbero raggiunto una città portuale con destinazione Argentina, si rotolava su un declivio, stracciandosi le vesti, graffiandosi il volto e battendo la testa su un tronco d’ulivo.
Tutte le notti invocava le nipotine accusando la figlia : “Giuseppa, ingrata, dove hai portato le mie bambine ?” Dopo tre mesi trovò la pace, morendo.
Nell’economia delle famiglie contadine ogni risorsa era razionalizzata e programmata per l’intero anno, dal grano all’olio, dai legumi al vino ed anche le pere entravano nel computo delle risorse indispensabili.
Quando veniva innestato un perastro si pensava all’utilità che avrebbe potuto produrre per l’economia domestica e non veniva quasi mai riprodotto un pero dai frutti deliziosi, considerati uno spreco, ma si puntava a quello più conveniente.
Tra i peri più interessanti era considerato il pero Campanello, grande, elegante, bello a vedersi, dalla forma campaniforme, dalla ampia diffusione , presente sui territori da Bova, dove viene denominato Tampanarico , a Bianco e nel suo entroterra, dove viene detto Muntagnisi perché ritenuto tipico di paesi di montagna.
Il periodo della sua maturazione è collocato nelle prime due decadi da agosto, quando assume un bel colore giallo; il peduncolo è lungo ed incurvato.
Ha la buccia spessa ed aspra per cui non è attaccata dalla mosca mediterranea della frutta o Ceratis Capitata Wiedemann, che ormai da circa cento anni ha infestato tutti i frutteti costringendo i coltivatori a trattare le piante con gli anticrittogamici ; forse l’insetto è originario dell’Africa.
Hanno ragione gli ultranovantenni quando affermano che quand’essi erano bambini, la frutta era intatta senza bisogno di trattamenti.
Ha la polpa candida, moderatamente succosa ed abbastanza acidula, pertanto ideale per preparare le pere seccate al sole , denominate cottia, cottea o cortea.
Esse d’inverno erano una riserva importante per gli uomini e gli animali, utili per preparare il decotto espettorante, bollendole assieme ai fichi secchi, fiori di malva, di cardo santo, di steli di nepitella, con l’aggiunta finale di vin cotto e dolcificandolo con miele ( i benestanti ).
Nel periodo dell’ingrasso venivano dati ai maiali e al tempo dell’aratura e della semina o sporo, alle mucche al giogo.
Erano amate dai fanciulli o dai monelli più grandicelli, che andavano a coglierle in qualsiasi albero o quasi, era consentiti ai fanciulli “ rubare “ i frutti, ma con moderazione ed essi , già alla fine di luglio, poco prima della maturazione, dopo averle colte andavano in giro per il paese a trovare qualche forno comunale attivo, in quanto sicuramente qualche massaia vi aveva infornato il pane, sufficiente almeno per dieci giorni ed ella tra la cenere bollente e le braci morenti poste sull’imboccatura, collocava le pere a cuocere.
Diventavano, a cottura ultimata, squisite, dotate di una fragranza delicatissima.
La fotografia delle pere è stata effettuata da Nino Cannatà di Cittanova, mentre le pere, per l’occasione, sono state “ rubate “ nel podere del defunto Vincenzo Pedullà, in contrada Mastru Nardu del comune di Ferruzzano.
Coordinate geografiche del luogo dove è situato il pero: 38°01’35.0’’N 16°05’33.9’’E