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Calabria Bizantina

Nel V sec. d.C., i barbari dilagarono nella parte occidentale dell’impero romano e i visigoti, guidati da Alarico, dopo aver saccheggiato Roma, raggiunsero, attraverso la via Annia-Popilia, lo stretto di Messina, incendiando Reggio. In poco tempo nacquero dei regni romano-barbarici e l’Italia, nella seconda metà del V secolo, fu occupata dagli ostrogoti di Teodorico. La parte orientale dell’impero resse all’urto e all’inizio del VI sec. l’imperatore Giustiniano iniziò la riconquista delle regioni occidentali, liberando l’Africa settentrionale dai vandali e l’Italia dagli ostrogoti. La guerra gotica determinò lo spopolamento del Bruzio (Calabria), che necessariamente fu ripopolata con elementi ellenofoni provenienti dalle più svariate aree dell’impero d’Oriente. Sicuramente fu turbato anche il vecchio assetto delle proprietà terriere che ruotava attorno ai possessores latini od ostrogoti, per cui si ebbe un passaggio dai vecchi proprietari ai nuovi d’origine orientale. Le fattorie che erano appartenute alla chiesa di Roma, passarono alla chiesa d’Oriente che si rafforzò sul territorio, grazie ai seguaci di s. Basilio di Neocesarea sul Ponto. Il modello di utilizzazione agricola del territorio non si discostò molto da quello precedente la conquista giustinianea, anche se delle novità emersero con la diffusione dei romitori dei monaci basiliani, che organizzavano attorno ai luoghi di preghiera, talvolta situati in zone pedemontane o addirittura montane, le loro attività agricole. Il paesaggio agrario restò quello rappresentato da Cassiodoro, ministro di Teodorico, per la sua Squillace. Egli ci dà il quadro: «la città gode […] delle delizie marine […] poiché si trovano lì vicino le peschiere da noi costruite […]. Si osservano bene le abbondanti vendemmie, la ricca messe trebbiata nelle aie, nonché l’aspetto dei verdi ulivi» (Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore, Variae, XII,15). L’allevamento dava squisiti formaggi: «Pranzando […] presso il sovrano, discutendo, […] si giunse ai vini del Bruzio e alla soavità dei formaggi della Sila» (Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore, Variae, XII,12). Nel 568 d.C. i longobardi, guidati dal re Alboino, invasero l’Italia e rapidamente occuparono buona parte della penisola, spingendosi fino al Sud, dove fondarono il ducato di Benevento e raggiunsero la parte settentrionale del Bruzio (Calabria), dove fondarono dei castaldati. Durante i loro attacchi nella penisola salentina, chiamata allora Calabria, parte della popolazione si trasferì nel Bruzio, che cominciò a essere chiamata Calabria. Notizie sulle potenzialità forestali in pieno periodo bizantino del territorio silano, sotto controllo longobardo, ce le dà il papa Gregorio Magno, che chiede al duca di Benevento Arechi di favorirlo per il trasporto di travi per le chiese di Roma: «Rendiamo noto che noi abbiamo bisogno di alcune travi per le chiese dei beati apostoli Pietro e Paolo […]» (G. Minasi, Le Chiese di Calabria, Napoli 1896, pp. 14-15). Nonostante il continuo stato di guerra, i vigneti del Bruzio furono fiorenti e il vino prodotto, in tutto il tardo antico raggiunse il Medio Oriente e l’Africa settentrionale, veicolato dalle anfore vinarie Kaey LII. Però quando gli arabi occuparono i territori suddetti, vietarono l’uso del vino per motivi religiosi, per cui venne a mancare quel mercato importante. Di conseguenza fu necessario riconvertire buona parte dei vigneti in piantagioni di gelsi per poter allevare il baco da seta, da cui si potevano ricavare guadagni notevoli. Tali riscontri ci derivano dai rendiconti dei catasti dei beni, sia della chiesa bizantina di Reggio che di Oppido verso il 1050, poco prima della conquista normanna (Andrè Guillou, Le brebion de la métropole byzantine de Region (vers 1050), Città del Vaticano 1974; La thèotokos de Hagia Agathé (Oppido) (vers 1050-1060-1064), Città del Vaticano 1972). Il paesaggio delle basse montagne dai monaci era stato utilmente rimboschito con castagni e querce, che alimentavano l’allevamento suino e che ancora oggi ci danno la testimonianza di un periodo in cui il territorio era stato utilizzato con sapienza e in rispetto della natura, mentre il paesaggio agrario delle colline e delle pianure era denso di vigneti, oliveti, alberi da frutta e con campi coltivati a cereali e legumi.