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I normanno-svevi

Dopo la conquista araba della Sicilia, nel X secolo le scorrerie dei saraceni cominciarono a funestare l’Italia meridionale, per cui i bizantini e i principi longobardi della Campania si servirono di formidabili guerrieri vichinghi nella difesa territoriale. In tale contesto storico i principi longobardi di Salerno accolsero come mercenari nei loro domini dei guerrieri di tale stirpe, francesizzati in quanto provenivano dalla Normandia. Un nucleo familiare di costoro si distinse, grazie all’abilità di Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo, che, assieme al fratello Ruggero, conquistò tutta l’Italia meridionale, strappandola ai bizantini. In seguito fu conquistata la Sicilia, e di tutti i domini normanni nel 1130 fu consacrato re di Sicilia Ruggero II. La figlia del re, Costanza, sposò Enrico vi di Svevia, imperatore di Germania e figlio di Federico Barbarossa, e dal matrimonio nacque Federico II, uomo di cultura straordinaria che fondò, fra l’altro, la Scuola Poetica Siciliana nella sua corte di Palermo. Con i normanno-svevi iniziò l’infeudamento di vasti territori che erano appartenuti alla Curia imperiale bizantina, in un periodo in cui, altrove in Italia, il feudalesimo iniziava la sua parabola discendente. Per circa 150 anni la Calabria era stata sottoposta alle scorrerie degli arabi che partivano dalla Sicilia, per cui erano state abbandonate le città e le pianure costiere che s’impaludarono e che furono usate per l’allevamento di cavalli, indispensabili per l’esercito, o per cereali. Le colture pregiate costitute da viti, ulivi, gelsi, frutteti, arretrarono di molto e furono spostate sulle colline lontane dal mare o su quelle pedemontane, che furono disboscate. Tornata la sicurezza con i normanni, specie dopo la conquista della Sicilia, si cominciò a ritornare timidamente verso la costa, ma non con insediamenti in quanto le pianure litoranee erano infestate dalla malaria. Dalla vicina isola, dominata dagli arabi per più di due secoli, in Calabria furono introdotte nuove colture costituite da agrumi, canna da zucchero, sesamo e pistacchio. Sulle basse montagne continuarono la loro attività di preghiera e di lavoro i monaci basiliani, che curarono campi di sopravvivenza, boschi di castagni, di querce e di pini, da cui estraevano la pece, utilissima per calafatare le navi.