PALMENTI
Un itinerario attraverso i palmenti della Locride in Calabria
di Orlando Sculli
Localizzazione dei palmenti e interesse per essi
In Calabria, come del resto in altre regioni d’Italia o in stati del bacino del Mediterraneo, si ritrovano, scavate nella roccia, vasche atte a calcare e a vinificare l’uva.
Esse non erano scavate singolarmente, ma almeno in due entità, con funzioni diverse: nella vasca superiore si calcava l’uva e si facevano fermentare le vinacce, mentre in quella inferiore più piccola si raccoglieva il mosto.
Tali vasche accoppiate per la vinificazione, in Italia vengono chiamate palmenti e quelli scavati nella roccia, possono essere rinvenuti ovunque in Calabria, specie nell’ entroterra collinare della costa ionica delle province calabresi ,ma non mancano nell’entroterra della costa tirrenica.
La concentrazione più massiccia è quella che ricade sulla costa ionica della provincia di Reggio con circa 700 esemplari, tra il comune di Bruzzano e quello di Casignana, in un territorio delimitato a sud dalla fiumara di Bruzzano e a nord dal Bonamico, per cui sono coinvolti, per i palmenti collinari, i comuni di Bruzzano, Ferruzzano, S. Agata, Caraffa del Bianco, Casignana mentre per quelli montani, Africo e Samo.
Tale comprensorio, si estende sulla costa per circa quindici km ed è caratterizzato da terreni fortemente argillosi per una striscia dal mare larga circa tre Km, ma superata la barriera argillosa, ci si trova di fronte a terreni sciolti, frutto dello sfarinamento delle rocce d’arenaria, che dominano talvolta, con i loro appicchi giallastri i paesaggi.
Proprio da questo tipo di roccia, che si scava con facilità sono ricavati i palmenti.
Nelle aree montane di Africo e Samo, a quote altimetriche considerevoli per la vite si ritrovano antichi palmenti, ricavati questa volta dal granito o da pietra dura in genere.
Non molto lontano da questi manufatti, nelle aree montane, sopravvivono decine di viti silvestri, per cui è ipotizzabile che in tempi lontanissimi, il vino veniva ricavato proprio da esse, quando esse erano abbondantissime nelle aree lungo i corsi d’acqua.
In riferimento ai palmenti di questa ristretta area, tra il Bruzzano ed il Bonamico, dei 700 esemplari, di cui almeno 400 intatti, solo 157 sono stati studiati non scientificamente da Orlando Sculli, nel comune di Ferruzzano e la ricerca, I Palmenti di Ferruzzano, è stata pubblicata dall’Istituto Internazionale di Restauro, Palazzo Spinelli di Firenze nel 2002.
Nonostante che i suddetti manufatti siano stati visitati da studiosi stranieri, come Patrick E. McGovern, docente di Antropologia all’Università della Pennsylvania, da Lin Foxhall esperta di archeologia classica dell’Università di Leicester in Inghilterra, da John Robbe, prof. dell’Università di Cambridge, esperto in neolitico, da Robert Winter docente di disegno artistico nel Rhine-Renoir College del North Carolina, da Attilio Scienza, docente di scienze arboree presso la statale di Milano, dai prof. Zifferero e Cordiano dell’Università di Siena, mai, nonostante i ripetuti appelli, la Sovrintendenza ai beni archeologici della Calabria, si è degnata di accennare alla minima iniziativa per essi, mentre negli ultimi quattro anni, almeno 5 palmenti sono stati distrutti, nel corso d’interventi agricoli.
La sola attenzione da parte delle istituzioni del territorio, è stata prestata dal prof. Ginex della facoltà di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, con il coinvolgimento di 50 allievi che hanno dedicato un giorno di studi sul campo, nella primavera scorsa, facendo i rilievi di dieci palmenti a Ferruzzano.
Lo studio dei palmenti di Ferruzzano, ha evidenziato che essi erano stati scavati solo in aree dove il terreno era sciolto e mai in quello argilloso e che essi sorgevano a ridosso di antiche strade selciate (vedi foto n. 1) fino a sessanta anni addietro, di cui rimangono solo dei tratti superstiti.
Le intersecazioni tra le varie vie creavano, spazi agricoli, spesso terrazzati, apparentemente di uguale estensione; si sarà trattato di suddivisione recente o di antica centuriazione?
La risposta mancherà fino a quando non verranno predisposti dei piani di studio.
Quello che ancora fa stupire è la ricchezze di vie di media e di lunga percorrenza, che convergevano su questo territorio e lo oltrepassavano.
Una via per alcune centinaia di metri scavata nella roccia (vedi foto n. 2) incuriosisce particolarmente, in quanto attorno ad essa gravitano numerosi palmenti (vedi foto n. 3 e n. 4) in vista dell’abbandonata, Rocca degli Armeni, circondata da campi dove sorgono svariate vasche di vinificazione.
Un’altra via, attraversava il bosco di Rudina, che ospita misteriosi palmenti e viti silvestri. (vedi foto n. 5 e n. 6) verso Sant’Agata, Caraffa e Casignana, che completano con numerosissime vasche di vinificazione, il quadro d’assieme.
Proprio al bosco di Rudina ha rivolto la sua attenzione la ricercatrice dell’Università Statale di Milano, Barbara Biagini, che ha identificato e censito circa 20 esemplari di vite silvestre, prendendo per ognuna dei tralci che poi sono stati messi a dimora nel campo di conservazione che la Statale possiede a Lodi.
Un territorio così ben studiato e strutturato secondo un progetto preciso era solamente finalizzato ad una produzione di vino per l’autoconsumo o ad una grandissima, destinata all’esportazione verso mercati lontani, durante il periodo ellenico, romano e bizantino ?
L’analisi, anche superficiale, di tutto il territorio, compreso tra il Bruzzano ed il Bonamico ci potrebbe dare una risposta.