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Cerasola di Ferruzzano

Vitis Vinifera L.

famiglia: Vitacee

Tale vite evidenzia la particolarità di una famiglia di Ferruzzano in un passato ormai lontano quando essa era influente come quel territorio ormai decaduto e degradato e tale vite apparteneva solo ad essa, anzi era la sua vite totemica. La famiglia si chiamava Pedullà e si tramandava da padre in figlio maggiore un segreto rappresentato da un braccio d’oro da utilizzare in caso di bisogno, seppellito sotto una parte precisa della fondazione di una delle sue tante case di Ferruzzano superiore, ma il 23 ottobre del 1907 ci fu un sisma con epicentro a Ferruzzano e la parte più importante del paese fu raso al suolo e i morti furono circa duecento, con conseguente emigrazione di massa verso gli Stati Uniti d’America. Il paese allora cominciò a morire come il depositario del segreto che riguardava il braccio d’oro.

Alla famiglia restò in eredità la splendida vite che era da tavola chiamata Cerasola perché gli acini del suo splendido grappolo erano rossi e rotondi come le ciliegie dello stesso colore e specie se piantata in terreni sciolti, essa dava il meglio con grappoli stupendi.

Nel 2002 lo scrivente continuando un percorso intrapreso nel 1978, definito strano o da folle da parte di coloro che l’osservavano, attento alla salvezza di tante preziose viti della provincia di Reggio Calabria, visitò la vigna della famiglia Romeo-Pedullà in contrada San Pietro, costituita solo da viti del territorio e restò incantato di fronte ai grappoli di una vite: la Cerasola.

La signora Santa, moglie di Antonino Romeo mi raccontò che tale vite l’aveva trasferita dalla vigna della sua famiglia ubicata in contrada Judario (il villaggio degli ebrei), quando si era sposata ed ormai esisteva solo in quel posto e per giunta con soli due esemplari allevati a pergola, potati “a spalla”perché potessero fruttificare.

Mi raccontava che la sua famiglia aveva sempre utilizzato l’uva di quella vite solo per fare dei doni durante il periodo estivo a persone di riguardo che restavano stupefatti nell’osservare i grappoli belli da vedere e si provava quasi un disagio a rovinarli, mangiandone gli acini.

Si ricordava quando, già matura, ai primi di settembre, in occasione della festa della Madonna della Catena, dentro un paniere confezionato apposta, di canna e verga, i suoi grappoli venivano portati in dono ad un cugino professionista di Bruzzano, mentre un altro paniere sempre nuovo, veniva riempito in occasione della Madonna dell’Addolorata, verso la metà di settembre e regalato ad un’altra famiglia distinta del paese.

Accanto c’era un’altra vite particolare, la Petrisa Janca, con cui si confezionava l’uva sotto spirito perché era dura, dolce e croccante ed era la sua degna compagna di viaggio, verso le mense di riguardo.

Certamente non mancava nella vigna di Judario lo zibibbo e lo zibibbo moscato che con il loro aroma insidiavano la supremazia della Cerasola.

La vite era stata tramandata da un passato remoto proficuo e laborioso, ad un presente privo di aspettative, specie per il territorio e riguarda un mondo perso per sempre.

Certamente era stata la regina delle vigne già nel “villaggio degli ebrei” dove forse la comunità ebraica produceva vino Kosher, contenuto in urne, destinate ad altre comunità ebraiche lontane, sulle cui anse era impressa la Menorah e vicino al putridario dove si era disfatto il cadavere di qualche monaca in odore di santità appartenuta al monastero di San Clemente, secondo le ricerche dell’archeologo onorario Sebastiano Stranges di San Luca.

Da quel posto prestigioso era stata trasferita in un altro non di meno, in quanto essa era stata piantumata vicino ai ruderi della chiesetta bizantina di San Pietro e non lontano dalla sorgente dedicata allo stesso santo, ma in un periodo di decadenza. La vigna ormai è arrivata al capolinea e sta per essere estirpata e forse sarà risparmiata la Cerasola, degna della mensa di un re, ma non è detto che non sarà cancellata per sempre. Chi la salverà?