Punica granatum L.
famiglia: Punicacee
Ogni territorio proponeva qualcosa di diverso, anche nel campo dei melograni, rispetto ad altri, che lo giudicava quasi un simbolo totemico con cui veniva contraddistinto.
Naturalmente questo non era il caso del “Dente di cavallo” che era più o meno diffuso in tutta la Calabria, anche se c’erano differenze tra paese e paese. A parte la peculiarità dei grani più grossi, quasi doppi, rispetto alle melagrane comuni, poteva differenziarsi nel colore, infatti in molti posti essi erano molto chiari, mentre in pochi altri più scuri.
Nell’itinerario intrapreso più di dieci anni addietro, ebbi la fortuna di andare a trovare a Gerace il defunto, ormai da anni, segretario Femia, nel suo regno, in contrada Varvara, corruzione di Barbara, mi raccontava, in quanto a ridosso dei primi laboratori di ceramisti all’entrata della splendida cittadina, era localizzato il monastero bizantino di Santa Barbara, raso al suolo da amministratori senza cultura.
Egli mi mostrò con infinito amore le sue viti, che erano state piantate decenni prima dal padre, conosciute perfettamente nelle loro posizioni, degli ulivi particolari, fichi di diverse varietà, peri, meli, noci, peschi, albicocchi, in altri termini un eden del germoplasma della Calabria. Arrivammo allora nei pressi di un melograno e me lo indicò come dente di cavallo.
La varietà di Gerace era migliore a suo dire, in quanto aveva i grani grandi come di norma avviene in ogni altro paese, però erano caratterizzati da un bel rosso rubino, difficilmente riscontrabile altrove.
Effettivamente riscontrai alcuni anni dopo che egli aveva perfettamente ragione, quando visitai un orto di un mio parente a Motticella di Bruzzano e verificai il colore degli arilli delle melegrane di “Dente di cavallo” presenti, erano molto più chiari di quelle di Gerace; nonostante ciò il sapore era delizioso e i semi molto morbidi.
Femia aggiungeva che la varietà di Gerace era più adatta ad una lunga conservazione e qualora i suoi frutti si stendessero su incannicciate nei bassi arieggiati oppure sotto i balconi appesi a dei chiodi, a gruppi, purché non fossero attinti dall’acqua, avevano la possibilità di resistere per tutto il mese di febbraio senza marcire. A quel punto mi disse che esisteva un’altra varietà detta “Denti i suméri” (asino), che producevano dei frutti molto buoni.
Non insistetti sull’argomento, in quanto il mio interesse era calamitato solo dalle viti, anche perché in quel periodo le melegrane erano ancora acerbe.
A distanza di anni mi recai in contrada Scurzunara, nello stesso comune, a trovare Santo Mittica, ora defunto, nel suo podere, fornito di tanti alberi da frutta ed allora chiesi notizie sulle melegrane nella tradizione di Gerace. Egli mi riferì che erano di sua conoscenza solo due tipi, quelle più comuni nel territorio, dai grani medio piccoli, ma dal colore rosso rubino e quelle denominate “dente di cavallo”.
Allora gli chiesi notizia della varietà “Denti i suméri” (Denti di asino), che mi era stato menzionato circa 6-7 anni prima dal compianto segretario Francesco Femia ed egli mi disse che non era a conoscenza di tale varietà.
Andammo a trovare un suo parente, molto avanti negli anni e ci raccontò che nel passato esisteva tale varietà, che aveva i grani di un rosso acceso ed erano un pò più piccoli rispetto a quelli della varietà “Dente di cavallo”.
Spiccammo un frutto di dente di cavallo e verificammo la particolarità. I frutti di norma sono di pezzatura media, ma la particolarità sta nei grani, che sono quasi doppi rispetto a quelli delle altre varietà e sono nello stesso tempo allungati, e ricordano i denti di cavallo che sono abbastanza lunghi; anche le melegrane dalla pezzatura piccola, evidenziano tale particolarità.
Ogni territorio evidenzia la specificità dei propri melograni, specie da quando comincia a passare l’idea che i loro frutti sono miracolosi per la salute, in quanto riescono a favorire la circolazione del sangue.
Il consumo di tale frutto è in aumento ed alcuni investitori stranieri, hanno creato grandi impianti in Puglia e in Sardegna, dove privilegiano varietà non del posto, ma quelle internazionali, che sono talvolta peggiori di quelle nostrane.