Punica granatum L.
famiglia: Punicacee
Ai primi di ottobre del corrente anno, assieme al documentarista Nino Cannatà e a Nino Sigilli mi recai nel comune di Borgia, su invito dell’agronomo Thomas Vatrano, che mi aveva segnalato una varietà interessante di melograno in un podere di sua nonna a qualche chilometro da Roccelletta di Borgia.
Mi aveva informato che era assolutamente degna di essere visitata, in quanto era inusuale vederla anche nel suo territorio ed era caratterizzata dalla pezzatura rilevante dei frutti che la pianta produce; infatti le sue melegrane possono superare abbondantemente mezzo chilogrammo di peso nelle annate di normale piovosità, durante la fine della bella stagione o all’inizio dell’autunno.
Durante il tragitto, da Monasterace a Roccelletta, in svariati campi avvistammo numerose piante di melograno, rigorosamente trascurate con i frutti pendenti e negletti, ma sempre invitanti e prevalentemente rosseggianti; sicuramente i proprietari dei campi ancora non hanno acquisito la consapevolezza del valore salutistico che possiedono i frutti di tale pianta, ritenuta sacra in tante civiltà del passato che la consideravano anche il frutto beneaugurante della prosperità e dell’abbondanza.
Hanno acquisito la consapevolezza dell’importanza della pianta alcuni stati del Caucaso e dell’Asia centrale, che la rivendicano come propria.
Le rivendicazioni più accese avvengono tra il Kazakistan e l’Armenia, che affermano ambedue di essere la patria del melograno.
I kazachi possiedono una varietà di melograno, il più diffuso nel loro paese, che appare primordiale, dalla pezzatura piccola e dai grani color rubino, molto dolci e dai grani legnosi, da cui però si estrae un’essenza particolare; nel Kazakistan vengono organizzate feste del melograno.
Gli armeni, di rimando affermano che la loro è la patria del melograno e dai suoi frutti ricavano addirittura un vino.
Una decina di anni addietro lo scultore armeno Vighen Avetis, che viveva a Firenze, seppe dal direttore di Palazzo Spinelli di Firenze, originario di Ferruzzano, che in Calabria esisteva un insediamento fondato dagli armeni nel IX secolo d.C., Rocca Armenia o Rocca degli Armeni, chiamato in seguito Bruzzano Vetere, abbandonato dopo il terremoto del 1907, che colpì solo Ferruzzano e marginalmente i paesi vicini.
Molto attratto dalla notizia, volle venire in Calabria e visitò religiosamente la rocca degli Armeni e seppe anche della presenza del melograno nero di Palizzi.
Anch’egli affermò che la patria del melograno è l’Armenia e che addirittura cresce un melograno particolare che produce dei frutti che contengono 365 grani, quanti sono i giorni dell’anno.
Il viaggio per Roccelletta di Borgia fu allietato solo da discorsi sul melograno e arrivati di fronte all’ingresso del Parco Archeologico della Roccelletta, fummo accolti da Thomas che con gioia ci accompagnò a visitare il podere della nonna, ubicato nei Piani della Roccelletta nel comune di Borgia. Prima di raggiungere la pianta situata nella parte orientale del campo, a ridosso di una fiumara, Thomas cominciò a parlarci degli ulivi e delle loro malattie, facendoci notare come molte piante erano state attaccate dal Tripide, dall’Occhio di Pavone e dalla Rogna, poi ci fece notare gli effetti positivi delle trappole meccaniche poste su piante di Cachi dai frutti intatti grazie ad esse ed infine introdusse il dibattito sull’argomento per cui eravamo arrivati.
Ci fece notare delle piante di melograno della varietà “Denti i cavallu”, intatti nella quasi totalità, facendoci assaggiare i frutti e alla fine ci condusse alla pianta per cui eravamo giunti.
I frutti erano dalla pezzatura medio grande, dal peso di 400 gr. circa (i più grandi) e non spaccati; solo tre di essi si erano aperti in seguito alla pioggia e così potemmo assaggiarli e fotografarli. I grani risultarono molto dolci, dai semi non molto legnosi e dal colore roseo e non sapendo come denominarli, telefonò alla nonna che li definì “Denti i ciucciu” (denti di asino).