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Pero Colacissaricu

Prirus communis L.

famiglia: Rosacee

Il nome di tale varietà apparentemente è misterioso in quanto contiene in sé almeno una glossa d’origine greca e di conseguenza è radicata nel territorio da moltissimi secoli, e sembrerebbe difficile identificare il significato.

Infatti sicuramente greca è la seconda parte del nome, cissarica, che deriva dalla parola dialettale ormai desueta e non conosciuta nel significato, cissa, che deriva dal greco classico kìssa che è identificabile con il nome pica, con cui i cacciatori e i vecchi contadini chiamavano l’uccello in questione che corrisponde però in italiano alla ghiandaia, denominata così perché frequenta preferibilmente i boschi di querce.

Talvolta, nel territorio della Locride centrosettentrionale il nome della kìssa è contenuto nelle denominazioni delle contrade, come ad esempio ci ricorda la contrada Ciassarè, tra il comune di Gioiosa Jonica e quello di Martone, che significa località frequentata dalle kisse ossia dalle ghiandaie.

La parte iniziale del nome è cola, con cui nelle comunità dell’entroterra aspromontano era chiamato affettuosamente il maiale, per cui potremmo interpretare il nome completo come “la pera che piace molto ai maiali”, però tale interpretazione sarebbe incoerente con la seconda parte della denominazione che richiama la kissa ossia la ghiandaia, ma a questo punto ci soccorre il fantastico Gerald Rohlfs, che amò la Calabria cento volte più dei calabresi e che nel suo “Nuovo dizionario dialettale della Calabria” commenta il termine cola, prima come “nome vezzeggiativo che si dà al maiale”, ma poi aggiunge un altro significato al termine cola-cola che indica come “richiamo per la ghiandaia domesticata”.

Di conseguenza il significato completo della pera colicissarica è: “la pera che piace tanto alle ghiandaie”. Evidentemente tale varietà, oggi poco conosciuta, come del resto lo sono le altre centinaia che arricchivano la Calabria tutta, era molto frequente nelle aree a ridosso dei boschi di querce, frequentati dalle ghiandaie, ma odiernamente essa è rarissima ed è conosciuta da pochissime persone, prima di tutto dal dott. Giuseppe Grenci, sindaco di Ardore, che possiede una collezione di 35 varietà di pere, prevalentemente del suo territorio, compresa la presente. Sempre ad Ardore, Nicolino Zuccalà colleziona peri, meli, ulivi, fichi, viti ed altre essenze del territorio e possiede anche la Colicissarica, come pure Arturo Rocca nel suo campo nel comune di Locri, a ridosso della provinciale per Gerace, in contrada Cardà.

A Ferruzzano sono sopravvissute tre esemplari in contrade diverse e lontane tra loro, che si sono salvati dagli incendi in quanto sono stati piantati in campi che fino ad ora sono stati accettabilmente coltivati.

L’esemplare georeferenziato è ubicato a ridosso della provinciale per Ferruzzano Superiore e potrebbe superare i cento anni d’età e ricade nel campo del defunto Pedullà Vincenzo ed essendo proprio sul ciglio della strada è facile reperire gli innesti a tempo dovuto.

Tale varietà di pero maturava i propri frutti in un periodo in cui le pere, quelle delle varietà eccezionali erano ormai terminate da molto tempo; infatti il trionfo delle “pere di sorta” ossia le varietà speciali erano appannaggio dei mesi di giugno e luglio e raramente s’inoltravano nei primi giorni di agosto, che offriva con generosità pere di varietà più scadenti, ma forse più utili all’economia delle famiglie che dovevano ricavare risorse per il futuro e le pere di agosto erano più adatte per preparare le pere secche (cottia, cortea, ecc.) che sarebbero state utili d’inverno per gli animali e per gli uomini quando la frutta fresca non c’era più tranne le mele, pere invernali o gli agrumi, arance e mandarini, e non tutte le famiglie avevano gli alberi che li producevano.

Le pere colicissariche erano considerate discrete per l’uso umano ed utili per preparare le pere secche ed arrivavano alla portata della gente che poteva consumarle tra la fine di agosto fino alla metà di settembre.

Di solito i peri di questa varietà venivano innestati sui perastri (peri selvatici) che crescevano spontaneamente nei seminativi arborati; essi infatti non potevano essere trapiantati in quanto, trasferendoli, anche quando le piantine erano piccolissime morivano in quanto la radice principale è fittonante e va subito in profondità; solo in novembre le piantine trasferite altrove avevano la probabilità di attecchire, ma la loro crescita sarebbe stata lentissima.

I frutti sono di media pezzatura di forma non completamente piriformi, dai piccioli corti e non omogenei in quanto prevalentemente non mantengono uno sviluppo verticale.

Il colore della buccia è giallognola a maturazione, cosparsa da ombreggiature che somigliano ad efelidi, mentre la polpa candida, abbastanza succosa è moderatamente granulosa, leggermente e piacevolmente acidula; diventa scura quando il frutto è eccessivamente maturo.