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Pero di Gesù bambino

Pirus communis L.

famiglia: Rosacee

Le varietà dei peri erano numerosissime in tutta la Calabria e di esse molte sono sopravvissute agli incendi, che furono devastanti verso la metà degli anni sessanta del novecento quando i territori trascurati da circa un decennio, risultarono infestati da erbe secche d’estate, in quanto i vigneti e le chiuse collinari, ricche di tanti alberi da frutta vennero abbandonati o malamente coltivati.

Era avvenuto che a partire dalla fine degli anni 40 del ‘900 le persone più valide avevano cominciato ad abbandonare la Calabria, per cui gli anziani ressero per poco tempo il peso della coltivazione dei campi.

I peri avevano meglio retto il tormento del fuoco perché in prevalenza erano stati innestati su perastri notoriamente più resistenti di altre piante più delicate, ma gli esemplari pluricentenari andarono facilmente in fumo in quanto cavi e pieni dentro di Xalìa, la parte consumata del legno, morbidissima ed utilizzata come esca per gli acciarini (focalori).

Esistevano degli esemplari di un metro di diametro, pieni di buchi, dentro cui nidificavano gli uccelli notturni, particolarmente esplorati dai ragazzi che amavano dotarsi di uccelli da allevare mentre nei tronchi cavi delle piante più vecchie, nidificavano i gufi comuni, gli allocchi, i barbagianni, gli assioli, mentre le cornacchie nidificavano sulle cime più alte degli ulivi o nelle siepi più intricate. Le taccole, i gheppi, i corvi imperiali costruivano i propri nidi negli anfratti rocciosi, quasi irraggiungibili dai monelli, di cui i più temerari si facevano calare dall’alto legati al cinto da lunghissime corde e rubavano i piccoli.

Erano ricercati i Gheppi (jizzi) che erano però carnivori e i ragazzi che se ne procuravano uno, dovevano allevarlo da quando era implume e cibarlo costantemente di carne, per cui bisognava catturare le lucertole con i cappi d’avena o andare a caccia di grossi grilli, di cui erano pieni i campi dove era stato falciato il grano e di passerotti, rubandoli ai nidi.

Venivano allevati assioli, barbagianni, gufi comuni e corvi che pure essendo onnivori avevano bisogno di molto cibo che i ragazzi non possedevano.

Avevano molto successo le cornacchie (carcarazze) e le taccole (ciavule) fra i ragazzi, perché si affezionavano loro e a tutti i componenti della famiglia in cui erano allevate.

Esse vivevano a lungo ed erano onnivore ossia mangiavano di tutto e d’estate i ragazzi le nutrivano con i grilli e con le pere, specialmente della varietà Melone e del Bombinuzzo (Gesù Bambino), molto profumate ed appetibilissime anche dagli uccelli.

Il massimo per un ragazzo era allevare un gheppio, un falco di dimensione piccola, che si affezionava poco però, fino a quando alla fine dell’estate cominciava a sentire il richiamo dei propri simili e quando passava in volo qualcuno, esso lo raggiungeva lasciando colui che l’aveva allevato ed amato. D’estate nei paesi collinari dell’Aspromonte molti ragazzi si sentivano dei falconieri, pavoneggiandosi con un uccello di grosse dimensioni portato sulla spalla sinistra.

L’estate rappresentava il paradiso per i poveri in quanto la frutta era a portata di tutti e con essa ci si poteva sfamare.

Era consuetudine cogliere la frutta di tutti gli alberi pendenti sulle strade e naturalmente anche dalle siepi di ficodindia che delimitavano i poderi sulle strade, da cui ognuno poteva prendere i frutti.

I maggiori esperti erano i ragazzi che dalla più tenera età imparavano a conoscere la geografia di ogni campo, allettante per i frutti che conteneva.

Numerosissime erano le varietà di “sorta” ossia speciali, che cominciavano a maturare negli ultimissimi giorni di maggio con le Maiatiche e che terminavano ai primi di ottobre con le Malune d’Inverno.

Tra le specialissime erano collocate le pere di Gesù Bambino, molto desiderate e rarissime, le pere totemiche della famiglia Politanò, i discendenti di profughi provenienti da Costantinopoli ossia i Castantnopolitani, che per amore di brevità furono detti semplicemente Politani, provenienti dalla città per eccellenza che era Bisanzio. Una pianta originaria la detiene Mimmo Politanò, figlio del defunto Francesco che ha mantenuto fino alla fine, tra le insidie degli incendi, la pianta degli antenati.

Il pero di Gesù Bambino, sopravvive in un solo esemplare originario in contrada Saccuti del comune di Ferruzzano e su tre riprodotti, due a Ferruzzano stesso e uno nel comune di Stalettì in contrada la “Pezzotta delle Puttane” (dove al tempo di un’importante fiera di bestiame, si appartavano le povere prostitute in tempi ormai remoti, usanza di cui resta traccia nella toponomastica) a Copanello, nella proprietà di Giovanni Gatti, innestato dallo scrivente.

La qualità è insuperabile, con i frutti belli da vedere, di media pezzatura, soffusi di rosso tenue nella parte offerta al sole, gialla nell’altra, profumati di spezie, dolce al punto giusto.

Le pere maturano a cominciare dal venti di luglio fino ai primissimi giorni di agosto e per la maggior parte di esse, risultano intatte senza bisogno di essere trattate con sostanze anticrittogamiche; nel gusto ricordano le Pere Angeliche o degli Angeli, che arrivano a maturazione ai primi di luglio, fino al venti, all’incirca.