Vitis Vinifera L.
Famiglia: Vitacee
Nel 2002 lo scrivente iniziò un percorso alla ricerca dei vitigni del passato al di fuori del proprio territorio, indirizzandosi verso il versante tirrenico, nelle zone collinari della Piana di Gioia tra il comune di Cittanova e quello di Molochio, mentre sullo Jonio, nella parte più a sud, andò a visitare l’altipiano di Egua nel comune di Motta S. Giovanni, su indicazioni precise dell’ispettore scolastico, Domenico Raso, ora defunto, originario di Cittanova. Precedentemente aveva cercato viti particolari nell’area di Bova e precisamente in contrada Cavalli, guidato dal defunto Bruno Casile, ellenofono, che mancò nel 1996.
Sia in contrada Plenura, nel comune di Molochio che ad Egua, esisteva ancora un patrimonio notevole di biodiversità, riferito al mondo delle viti. Ad Egua trovò una competenza straordinaria in Salvatore Calabrò, che assieme a Santo, gestiva 10 ettari di vigna, con annesso uliveto, l’anima però dell’azienda era Salvatore. Egli conosceva la disposizione delle varietà delle viti nei vari filari e sapeva quale posizione occupava una determinata varietà, per cui di notte con sicurezza andava a staccare qualche tralcio, qualora un amico glielo richiedesse.
Egli aveva avuto cura di mettere a dimora quasi solamente le viti tipiche di Motta e dintorni, ad eccezione del Sangiovese e naturalmente conosceva la vinificazione più opportuna per le varie uve. Studiava i tempi più favorevoli per iniziare qualsiasi operazione connessa alla vigna, all’orto e all’uliveto, mentre per tenere pulita la vigna dalle erbe invadenti, utilizzava delle pecore che immetteva nel campo, quando le viti erano in stasi vegetativa e senza grappoli, da fine di ottobre alla fine febbraio. Tutto attorno l’azienda era stata circondata da un filare ininterrotto di cipressi, in quanto violentissimi vi spirano i venti, gelidi, quelli di fine novembre, quando arrivano dalla tramontana. A di fuori dell’azienda, esistevano ancora altre vigne con viti allevate basse ad alberello, senza sostegni i; esse erano leggermente inclinate verso sud e questo indica che il vento prevalente ad Egua è la tramontana.
Ovunque sono disseminati, sull’altipiano, frammenti di embrici greci e romani, frammisti a cocci di ceramica comune e da cucina; segno che la frequentazione della contrada è stata costante dal periodo romano ai giorni nostri. Il panorama che si gode è inimmaginabile, con l’Etna che si staglia di fronte e Taormina che appare vicinissima.
Salvatore raccontava le vicende dell’azienda, del tempo opportuno per innestare, potare, vendemmiare, presentando i vini bianchi ricavati dalle uve del Bianco Tondo, da quelle del Cordivalle in mescolanza con quelle dell’inzolia e dalle varie malvasie.
I rossi invece nascevano dalla vinificazione delle uve dei nerelli, in particolare del Nerello di Egua, di Campo calabro, del Nerello Guarnacciato, dal Nerello Guarnacciato Gemellato; un vino soave nasceva dall’unione (Blend lo chiamano i sofisticati) delle uve dell’Alicante fimmanella, del Petroneri, del Nerello Campoto e del Castiglione. Nel rosso più caratterizzato e più cupo, alle uve dei nerelli, venivano aggiunte, nella percentuale del 10%, le uve del Giacchinè e del Giacchè, nerelli tintori. Dalla mescolanza delle uve appassite del Bianco Tondo, della Malvasia bianca e del Moscato Bianco, nasceva un vino da dessert gradevole.
Ad un certo punto la conversazione si spostò dentro la cantina e lasciammo la base di un torchio vinario romano venuto fuori durante lo scasso del terreno vent’anni prima, a cui era legato un possente molosso calabrese, che ci guardava impassibile, dimenando la coda a Salvatore, quando lo guardava. Santo dentro un largo vano, che precedeva la cantina, ricavata dentro una piccola collina, sopra cui era stata sopraelevata un’abitazione, aveva imbandito una tavola, ricca di formaggio, fette di capicollo, soppressate e olive preparate in vario modo. Il discorso continuò sulle viti, quando dalla cantina attigua, furono portate due caraffe, una di vin bianco e l’altro nero.
Il bianco era stato ricavato in purezza dalla vernaccia del territorio, che produce grappoli minuscoli, dagli acini rotondi, tendenti al giallo a maturazione, caratterizzati da macchioline nerastre e marroncine.
L’acidità totale dell’uva di tale vitigno è altissima e si potrebbe vinificare senza l’aggiunta di solfiti, mentre il vino ricavato preferisce l’invecchiamento in quanto da giovane è molto aspro. Dopo tre o quattro anni diviene secco e leggermente frizzante, mentre nello stesso tempo esprime profumi sottilissimi e soavi.
Salvatore parlava pacatamente, mentre mangiava lentamente, tenendo vicino un gatto rossiccio che era saltato sulle sue ginocchia e che ogni tanto imboccava con un pezzettino di formaggio o di capocollo.
Le ombre della sera stavano cominciando a scendere velocemente, per cui con affetto salutammo i gentilissimi fratelli Calabrò e cominciammo la discesa piena di tornanti verso la statale 106, dopo aver ammirato ancora l’Etna che emergeva dal mare cupo.