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I romani nel Bruzio (Calabria)

Già alla fine del VI sec. a.C. iniziarono le guerre per l’egemonia fra le città greche, con la distruzione di Sibari da parte di Crotone, la guerra tra Locri e Crotone e le crisi ricorrenti tra Locri e Reggio. All’inizio del IV sec., intervenne in Italia, come si chiamava la Calabria d’allora, Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, con l’intento di conquistare tutte le città elleniche, accordandosi con i bruzi, popolo affine ai lucani e ai sanniti, attestati nella parte settentrionale della regione. Le guerre andarono avanti per decenni e nel 275 a.C. i greci, sfiniti dalle lotte contro i bruzi, chiesero aiuto ai romani, che con presidi difesero le città greche, occupando di fatto la regione. Il momento più critico fu quello della seconda guerra punica quando Annibale scelse come suo ultimo ridotto di difesa il Bruzio, come i romani chiamarono allora la Calabria, ed ebbe la collaborazione dei bruzi stessi e la resa delle città greche. Dopo la sconfitta definitiva del condottiero cartaginese a Zama nel 202 a.C., i romani punirono duramente le città greche, ma furono implacabili contro i bruzi che furono decimati. Le montagne, ricche di essenze forestali, divennero ager publicus e nella regione, dove la maggior parte della popolazione era perita durante la lunga permanenza di Annibale, vennero dedotte delle colonie romane (Tito Livio: Ab Urbe condita, libro XXXIV, 45,53), a scapito dei residenti. L’antico assetto della proprietà fondiaria cambiò, e cominciarono a nascere le prime grandi aziende agricole, a cui fa riferimento Cicerone nel primo secolo a.C.: vittima di una tempesta alle porte di Reggio, raggiunse la villa rustica del suo amico Publio Valerio, situata nei pressi di Leucopetra (Capo d’Armi) (Cicerone, Lettere ad Attico, libro XVI,7). A partire dal I sec. d.C., il modello si diffuse e tutto il territorio del Bruzio fu diviso in enormi fattorie o ville rustiche. Le guerre intestine tra greci e gli attacchi dei bruzi avevano modificato in parte il paesaggio agrario, con l’abbandono delle coltivazioni pregiate, quali erano quelle della vite e dell’ulivo. Le guerre contro Annibale determinarono lo spopolamento della regione, per cui il nuovo modello di sviluppo agricolo fu incentrato su grandi spazi e sulle coltivazioni estensive, e prevalse la coltivazione dei cereali e l’allevamento. Con il passare del tempo le ville rustiche ritornarono a riconsiderare le colture pregiate, ossia la coltivazione della vite e dell’ulivo, oltre a quelle dei cereali e degli alberi da frutta. Tutto questo è deducibile dalla lettura dei siti archeologici riferiti alle ville rustiche. Prendiamo come esempio il complesso di Palazzi di Casignana in provincia di Reggio Calabria; essa si sviluppava per almeno dieci ettari e comprendeva la dimora del padrone, quella del fattore, le sale di rappresentanza, doppie terme, gli edifici per la sauna, gli alloggiamenti per i lavoranti, i magazzini per la conservazione dei prodotti, i laboratori per la produzione degli attrezzi e di tutto ciò che serviva per la fattoria, che si estendeva, probabilmente per migliaia di ettari, dal mare fino alle colline pedemontane. Gli edifici più eminenti e le terme erano abbelliti con centinaia di metri quadri di mosaici e con marmi pregiati provenienti dall’Oriente. Un grappolo d’uva trialato campeggia in un mosaico ed esso spiega l’origine della ricchezza della villa, assieme alle anfore vinarie e a grandi contenitori per cereali e liquidi.