Il colore più importante dell’antichità fu il rosso porpora, sperimentato dai fenici nel Mediterraneo orientale con l’estrazione di un pigmento da un mollusco,il murice comune, da cui poi veniva preparato il rosso, con cui venivano colorate le stoffe, che non perdevano mai la loro brillantezza. Tale colore divenne il simbolo del potere tanto che le toghe dei senatori e dei magistrati romani erano bordate da una striscia colorata di rosso porpora; un tipo di murice pescato nell’Atlantico dava un colore violaceo .
In tempi più vicini a noi, dal Medio Evo fino all’inizio dell’800, i colori per tingere i tessuti furono estratti prevalentemente dalle piante tintorie che furono ricercate in luoghi dove crescevano spontaneamente,ma furono anche coltivate.
Un esempio splendido prodotto con colori naturali è costituito dall’arazzo di Bayeux , che non è un vero arazzo in quanto è un ricamo prodotto con fili di lana di otto colori diversi e che racconta la storia della conquista dell’Inghilterra da parte del normanno Guglielmo il Conquistatore, dopo la battaglia di Hastings; è lungo circa 70 metri e largo 50 cm. Fu confezionato tra il 1070 ed il 1077 probabilmente nell’area di Canterbury in Inghilterra.
L’altro esempio equivalente al primo, per grandiosità, è l’arazzo esposto al castello di Angers, in Francia, che racconta l’Apocalisse, rifacendosi all’Apocalisse appunto di S. Giovanni.
La parte pervenuta è lunga circa 106 metri e larga sei, faceva parte di un’opera più ampia, commissionata nel 1377 circa, dal duca Luigi D’Angiò a dei maestri tessitori e completato nel 1382; racconta scene bibliche riferite al giudizio universale.
Il giallo dei filati era stato ricavato dalla Reseda luteola, il rosso dalla Rubia tinctoria e l’azzurro dall’Isatis tinctoria; pertanto colori ricavati da piante tintorie.
Naturalmente in Calabria, già dal periodo bizantino venivano utilizzate diffusamente le piante tintorie nelle città dove erano importanti le manifatture di tessitura, come Catanzaro che era un importantissimo centro per la lavorazione della seta, mentre non mancavano le attività tessili in altri centri urbani, come Reggio, dove fino al 700 arrivavano dei mercanti inglesi a comprare partite di seta calabrese, ritenuta eccellente.
Ovviamente la tessitura era diffusa in tutte le altre località calabresi, grandi o piccole che fossero, dove veniva espressa al massimo grado l’abilità a preparare al telaio tessuti di lino, seta, lana ecc. finalizzati a trasformarsi in abiti raffinati o meno e in coperte e copriletto preziosi ,in asciugamani ed in tovaglie da tavola ricamati, mentre i tessuti di ginestra e di canapa, servivano per oggetti di uso più comune connesso alle attività agro-pastorali, come le bisacce, i sacchi ecc. Ricordiamo a tal proposito quanto spettacolari fossero i costumi popolari che variavano da territorio a territorio, impreziositi da ricami ed abbellimenti vari, naturalmente tinti con colori ricavati da piante.
Erano eccellenti e preziosissimi i costumi popolari delle numerose comunità albanesi di tutta la provincia di Cosenza e quelle delle provincia di Catanzaro, che sbalordirono i numerosissimi viaggiatori stranieri, che visitarono la Calabria, a partire dalle fine del 700; gli abiti di lana, seta e lino, erano tinte con colori estratte dalle piante tintorie, da cui si ricavava una vastissima gamma.
La fantasia si sbizzarriva poi nell’ideazione e nella tessitura di coperte di lana ,seta e di ginestra, confezionate con filati multicolori, come è evidenziato dalle coperte di Longobucco cittadina in provincia di Cosenza, dove prevalevano i rombi, combinati in modo differenziato.
In provincia di Reggio, fino alla metà degli anni 50 del 900, specie nei centri aspromontani, si continuò a tessere, anche se con minore intensità ed ogni piccola comunità si distingueva per la rappresentazione di motivi particolari che impreziosivano le coperte; i motivi di fondo derivavano dal mondo greco bizantino, espressi nell’area grecanica prevalentemente dai rombi e più raramente dalla greca, mentre in piccoli centri dell’Aspromonte centro-orientale i motivi erano più numerosi mediati dal mondo del Mediterraneo orientale, dall’Armenia ed addirittura dalla Persia, con un tripudio di simboli: la greca, la croce bizantina, le onde stilizzati, i rombi, il pavone, simbolo dell’immortalità, mediato dalla Persia, tramite gli armeni, i fiori ecc.
I filati per i costumi preziosissimi, come nel caso delle comunità albanesi e non, le coperte o altri tessuti di uso agricolo erano tinti in bagni di colore che veniva estratto, come abbiamo ripetuto svariate volte dalle piante di cui c’era una conoscenza approfondita in ogni territorio.
Naturalmente nei centri più specializzati nella tessitura ed anche più importanti dal punto di vista politico- amministrativo, oltre che demografico, come Catanzaro, Reggio, Cosenza, Monteleone (Vibo Valentia), Crotone, Rossano, esisteva un’esperienza maggiore nell’estrazione dei colori dalle erbe e nel suo uso, in quanto vi operavano dei maestri tintori.
Infatti da alcune piante, come l’Isatis tinctoria o guado, che dava l’azzurro o la Reseda luteola, che offriva il giallo, non era facile estrarre il colore, in quanto c’era bisogno di particolari procedure per produrre il colore desiderato.
Infatti in relazione all’Isatis, bisognava sceglierne le foglie nel suo primo anno di vita, in quanto essa è una pianta biennale, che bisognava mettere a macerare e a fermentare in acqua e dopo questa procedura si otteneva un giallo che dopo l’ossidazione si trasformava in azzurro vago, simile all’indaco.
Dalla Reseda luteola si otteneva un giallo brillante, quasi divino, che si otteneva mettendo a macero l’intera pianta, eccetto le radici, al tempo della fioritura; bisognava però conoscere adeguatamente le proporzioni .
Il rosso poi era ricavato dalle radici della Rubia tinctoria estratte quando la pianta era in stasi vegetativa in agosto.
Naturalmente nel mondo contadino il compito di tingere le stoffe o i filati toccava alle donne che fra l’altro avevano anche quello di cardare, filare e poi tessere la lana, il lino, la canapa e la ginestra, per cui dovevano ritagliare il tempo anche per questo compito.
Naturalmente difficilmente le contadine utilizzavano le piante da cui era complicato estrarre il colore, ma ripiegavano su quelle più reperibili e più facili da gestire.
La Rubia tintoria per il rosso era di facile reperibilità e le sue radici venivano estratte addirittura anche dalle siepi che circondavano le chiuse e gli orti e nello stesso tempo non era difficile la procedura dell’estrazione stessa, in quanto era necessario bollire le radici quando la pianta era in stasi vegetativa in agosto e ridurre di molto l’acqua; naturalmente bisognava saper dosare la quantità delle radici da bollire e procedere alla mordenzatura dell’acqua di tintura prima dell’immersione in essa dei panni da tingere.
Tale operazione aveva la funzione di favorire l’assorbimento dei colori da parte dei tessuti e nel mondo contadino, normalmente povero, si ricorreva solo al sale e all’aceto, mentre le famiglie benestanti ricorrevano all’uso dell’allume di rocca.
La natura offriva facilitazione per il reperimento del giallo, dato da numerose piante e di esse, la più a portata di mano era la pianta di melograno che facilitava l’operazione con l’utilizzo delle bucce dei suoi frutti, le melegrane; esse venivano essiccate e poi bollite e l’acqua di cottura che veniva fuori , semplicemente mordenzata con sale ed aceto dava un giallo deciso e durevole.
Il giallo, almeno in Calabria, veniva ricavato anche dalla Daphne Gnidio (latticuni, latticugna), dall’Euforbia arborescente (cammaruni), dalla Ginestra minore o tintoria ecc.
Il marrone veniva estratto dalle bucce delle castagne o dal mallo delle noci, bollite lungamente, mentre il nero dalla cottura in acqua della corteccia di vecchie querce, il viola poi dalla bollitura delle drupe del sambuco, quando raggiungevano la piena maturazione in agosto o ai primi giorni di settembre.
Addirittura dalle drupe di una varietà specifica di Oleastro, bollite lungamente, veniva estratto un bleu intenso utilizzato come inchiostro, preparato dai padri di bambini poveri; esso aveva una forte capacità tintoria, mentre il succo fresco delle drupe, aveva un forte potere solvente.
Per preparare tintura da utilizzare come inchiostro, con cui scrivere sulle pergamene o per le miniature si utilizzavano le capsule ancora verdi della Crozophora tinctoria, contenenti i semi, che pressati in numero rilevante, davano un succo verde che all’aria si ossidava velocemente e diventava violaceo.
Naturalmente nelle famiglie, in epoche recenti, fino all’immediato secondo dopoguerra (per tutti gli anni 40 del 900) si preparavano i bagni di colore per tessuti con cui venivano confezionati abiti d’uso quotidiano o altro, ma per gli abiti per le grandi occasioni o per le coperte, si ricorreva ai mastri tintori itineranti, che nel periodo estivo, con i loro strumenti si recavano nelle comunità rurali dove era richiesta la loro competenza , fra l’altro di conoscitori delle piante tintorie dei vari territori.
Il periodo d’oro comunque, per l’utilizzo delle più importanti piante tintorie, fu quello bizantino ed è sufficiente fare delle escursioni mirate nelle aree dove fu più persistente la cultura bizantina, per potere avere delle sorprese e scoprire che in quei posti esisteva nel passato una fiorente attività connessa all’uso delle piante tintorie più importanti fino al Medio Evo.
In provincia di Reggio nell’area grecanica e precisamente a Bova, tutta la contrada Bricha, è disseminata fittamente di piante di Isatis tinctoria, mentre nella zona attorno a Palizzi Superiore, nelle aree dove il terreno è frammisto a rocce calcaree, esistono delle colonie di Reseda luteola, che si sceglie in maniera capricciosa i posti dove insediarsi per un anno ( è pianta annuale ), al pari della Crozophora tinctoria che compare nei terreni coltivati sulla costa della stessa zona, ma mediamente argillosi.
Nel comune di Caulonia, non lontano dalla vallata bizantina per eccellenza, quella dello Stilaro, in una contrada, tra Ursini e Calatria, si estende una vasta area dove l’Isatis tinctoria cresce spontaneamente e questo è indicativo di quanto sarebbe facile coltivare tale pianta molto importante nell’antichità per uso tintorio, quando in alcune aree del nord Italia si sta ricominciando a coltivare proprio questa pianta.
testo Orlando Sculli